Pescara. In occasione della presentazione allo Spazio 010 della Graphic Novel “Diario Segreto di Pasolini”, ho avuto il piacere di intervistare i due autori che hanno collaborato nella creazione di quest’opera: la sceneggiatrice Elettra Stamboulis e il disegnatore Gianluca Costantini.
Nel corso della serata i due hanno raccontato come è nato questo libro a metà tra il fumetto e il diario, specificando che alla richiesta del loro editore (BeccoGiallo) di creare qualcosa per l’anniversario della morte del poeta, loro abbiano preferito non cadere nei soliti cliché, ma piuttosto concentrarsi sulla vita di Pasolini “quando non era ancora Pasolini”. La vita del grande autore nei suoi anni maturi è stata infatti sviscerata e giudicata in modo anche eccessivo, ma se invece si vanno a guardare gli anni della gioventù non è mai stata affrontata con la dovuta attenzione.
Questo diario è dunque un’occasione unica per conoscere i lati del Pier Paolo ragazzo rimasti sepolti sotto il peso della grandezza dell’icona che sarebbe poi diventato.
Piacere di conoscervi e complimenti per l’interessante serata.
Cominciamo da una domanda particolare. Se voi aveste avuto l’opportunità di incontrare Pasolini, di fargli una domanda o di parlarci liberamente, cosa gli avreste detto?
Elettra Stamboulis: Che domanda strana e interessante! Gli chiederei: perché non ha mai fatto un fumetto? Visto che ha fatto tutto, il poeta, lo scrittore e il regista, mi son sempre chiesta perché non ha fatto un fumetto.
Gianluca Costantini: Io con Pasolini parlerei per forza di quello che succede adesso. Dell’Isis e cose di questo genere. Lui era sempre sul pezzo, indagava quello che succedeva al momento e per definizione aveva opinioni interessanti. La sua visione sarebbe stata sicuramente diversissima da quella che mi viene in mente e sarebbe andato contro tutti, contro le solite cose che si dicono.
Voi collaborate da tanto tempo. Avete all’attivo già cinque libri. Nella composizione di questa nuova opera c’è stato qualcosa di nuovo? Qualche evento che lo ha differenziato dai lavori precedenti?
E.S.: Noi litighiamo molto quando lavoriamo insieme (ride). In realtà è un dibattito serrato e, allo stesso tempo, creiamo insieme. Gianluca non ha mai la sceneggiatura completa e io a volte posso anche partire da un suo disegno per scrivere. Questo fa sì che non sappiamo mai quante siano le pagine. All’inizio questo libro doveva essere lungo la metà, ma quando ci siamo avvicinati alle 200 pagine lui mi ha detto: “adesso basta” (ridiamo). Io mi ero talmente fatta prendere da questo flusso che forse potevo andare anche più avanti.
G.C.: Il modo in cui lavoriamo non è classico. Elettra non costruisce mai un libro completo, ma lo fa a pezzettini e io disegno contemporaneamente. A volte il disegno supera la scrittura, tutto può essere cambiato e non c’è un plot o una sceneggiatura classica.
Non ci sono mai stati problemi nella costruzione di questi libri, però sono libri molto istintivi. Il primo che abbiamo fatto su un personaggio di Istanbul è costruito in modo strano, ma anche quello della prima guerra mondiale. Poi gli altri ci sono stati chiesti, però sono comunque particolari.
Invece, al di là di questo fumetto, qual è il vostro rapporto con Pasolini? Come l’avete conosciuto e quali opere vi sono rimaste dentro?
E.S.: Per me è il poeta. La cosa che conosco di più, e che mi interessa di più, è la poesia. In realtà ho frequentato poco il suo cinema. Nella mia esperienza cinematografica non è stato un autore fondamentale. Non ho amato molto neanche il Pasolini prosatore: “Ragazzi di vita” non sono mai riuscita a finirlo. Mi annoia, è troppo aspro.
G.C.: Io conoscevo il Pasolini artista. Il cinema, i disegni che faceva (anche se non è molto famoso da questo punto di vista). Conosco quello che ha lasciato al mondo dell’arte, perché io mi sono formato all’accademia, quindi Pasolini c’è sempre stato. Conoscevo più la sua estetica, ma avevo letto pochissimo. Avevo letto più gli articoli, che i romanzi o la poesia.
Gianluca, tu hai disegnato anche “Cattive Abitudini” (opera basata sui testi delle canzoni di Emidio Clementi). Hai preso i testi e li hai illustrati, oppure hai lavorato assieme a Emidio Clementi?
G.C.: All’inizio abbiamo lavorato molto insieme, almeno nei primi pezzi, poi ho scoperto che era meglio che lui non mi dicesse niente. L’ho censurato alla terza canzone.
Le sue canzoni sono complesse, non dicono molto di quello che le ispirano, però non volevo più sapere ciò che lui sapeva, o a chi erano dedicate o dov’erano ambientate. Io ho immaginato sulle sue canzoni e ho inventato sul suo immaginario.
In realtà io ed Emidio ci conosciamo anche da poco. Insegniamo entrambi all’accademia di Belle Arti al corso di fumetto e lì ci siamo conosciuti. Sei mesi dopo il primo incontro abbiamo fatto “Cattive Abitudini”.
Elettra, tu fai l’insegnante nella vita di tutti giorni. Qual è la tua opinione sulla situazione dell’insegnamento (non parlo della scuola in generale, poiché sarebbe un argomento troppo vasto). Da studente mi è sempre parso di percepire un certo disamore per la cultura in molte persone che insegnano, di là dalla pigrizia degli studenti.
E.S.: No, io in questo senso sono fortunata. Vivo in una scuola in cui c’è anche un’ansia da prestazione molto alta, quindi questo non c’è, almeno apparentemente. Quello che invece è molto presente è una grande diseducazione relazionale. Ciò che manca a molti insegnanti non è la passione per la cultura. Quelli che non funzionano, non funzionano perché non capiscono che il tema non è “quanto tu sai”, ma quanto tu entri in relazione con un adolescente, quanto riesci a entrare in dialogo con lui, a ispirarlo, a capirlo e ad ascoltarlo. Se non parti da quello, potrai sapere tutto, ma non servirà a niente.
Voi ormai siete dentro il mondo del fumetto e delle case editrici. Entrare in questo mondo è difficile per un giovane, oppure le cose sono peggiorate negli ultimi anni? Qual è il vostro punto di vista sulla situazione odierna?
E.S.: La questione non è entrarci, ma rimanerci. Ci sono due malattie: una è l’essere troppo autoriali, nel senso del non capire che comunque è anche un lavoro. Aspettare che l’ispirazione ti arrivi dal cielo, essere l’artista per l’artista, va bene, ma fare un fumetto è anche un progetto. Al suo opposto c’è il pensare che sia puro marketing, come quelli che fanno manga pur non essendo giapponesi. Non capiscono che quella non può essere la loro forma. Esistono questi due estremi.
Oggi però il mondo del fumetto è uno dei pochi mondi editoriali, in questo totale collasso dell’editoria a cui stiamo assistendo, che cresce. È positivo.
G.C.: Ci sono tanti ragazzi che lo vogliono fare, forse più di prima. C’è molta richiesta di disegnatori, nonostante non ci sia un gran mercato. Vengono pubblicati tanti libri, però quest’editoria è sempre una nicchia molto piccola. È in crescita, ma parliamo di percentuali irrisorie in confronto all’editoria di narrativa. Anche i best seller del fumetto che ci sono, si contano su metà mano. C’è molta produzione, ma non si guadagna molto. È cambiata proprio la contrattistica. Adesso il fumettista è considerato uno scrittore, quindi hai un anticipo e poi guadagni quello che vendi. Prima il fumettista veniva pagato a pagine, quindi erano soldi sicuri.
Il consiglio che posso dare a un disegnatore giovane è che non può fare solo questo. Può fare il libro, ma non ci può vivere. Non si può più vivere il sogno romantico di lavorare e stare a casa propria. Questa purtroppo è la triste legge del mercato, però è anche bello farlo. Lo devi fare perché ti piace.
Progetti per il futuro?
E.S.: Io sto lavorando su un libro sulla Montessori. Voglio fare un libro su una donna, dopo cinque libri sugli uomini. Devo capire quando, ma si farà. Perché poi diventerà il tema della scuola stessa: perché in Italia tutte le scuole non sono montessoriane? Facciamo che tutte sono montessoriane, questa per me è la riforma della scuola.
Vi ringrazio moltissimo per la disponibilità.
E.S. e G.C.: Grazie a te. Alla prossima!
@AndreaMicalone